Lo strano caso di Robert Louis Stevenson

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 soggetto di Fabio Bussotti per una serie televisiva

Sinossi.

Londra, 1886. Robert Louis Stevenson pubblica il suo capolavoro: “Lo strano caso del dottor Jekyll e Mr. Hyde”. Il romanzo riscuote subito un notevole successo. Soprattutto in America dove lo scrittore si trasferisce per un breve periodo. Siamo a New York  nel gennaio del 1887. Stevenson conosce e frequenta un attore amabile e pieno di talento che risponde al nome di Richard Mansfield. Stevenson, a causa della salute cagionevole, ritorna in Inghilterra dove un ambizioso impresario teatrale, Sir Henry Irving, gli propone di scrivere l’adattamento teatrale dal suo romanzo. Dapprima, Stevenson si mostra indifferente, ma poi, anche di fronte a un cospicuo anticipo in denaro, accetta la sfida.

Il debutto è previsto al teatro Lyceum di Londra i primi di agosto del 1888. Il problema principale è trovare un attore in grado di interpretare l’impegnativo doppio ruolo. Vengono fatti molti provini ai quali assiste lo stesso Stevenson. Di attori bravi ve ne sono, ma nessuno sembra in grado di affrontare l’arduo compito. Stevenson si ricorda del suo bravo amico Richard Mansfield al quale spedisce una lettera convocandolo a Londra. Mansfield non si fa pregare. Corre al porto di New York,  prende la prima nave per l’Inghilterra,  sbarca a Londra e vince il provino: sarà lui a interpretare il dottor Jekyll e Mr. Hyde.

Durante le prove in teatro, l’amicizia fra Stevenson e Mansfield diventa sempre più stretta. I due escono quasi tutte le sere. Frequentano il bel mondo londinese dividendosi fra circoli letterari, ricevimenti, cene e riunioni di intellettuali. La salute di Stevenson, grazie a un elisir che Mansfield si è procurato di nascosto presso un medico dalla dubbia reputazione, migliora a vista d’occhio. Finalmente, arriva il giorno del debutto. Stevenson è molto emozionato. E anche Mansfield forse lo è, ma la bravura dell’attore ha qualcosa di catartico. Oltre ogni previsione, l’esito della “prima” è a dir poco trionfale. Mentre l’impresario gongola di felicità e le casse del teatro traboccano di sterline, Stevenson e Mansfield si danno senza pudore alla bella vita notturna.  Il loro punto di ritrovo, dopo teatro, è diventato il circolo esoterico della Golden Dawn dove oltre ai soliti discorsi di letteratura, politica e filosofia non si disdegnano le belle donne, l’alcool e l’oppio.

La mattina del 31 agosto 1888, a Whitechapel, viene trovato il cadavere di una prostituta di 43 anni di nome Mary Ann Nichols. Pochi giorni dopo, l’8 settembre, un’altra prostituta di 48 anni, di nome Annie Chapman, viene trovata, anche lei come la Nichols, uccisa e squartata. Questa volta, l’assassino ha lasciato la firma. Sul muro di una chiesa, nella notte, qualcuno ha scritto in rosso Jack lo Squartatore (Jack the Ripper).

Scotland Yard indaga, ma non vi sono né elementi utili, né tanto meno indizi. In tutta Londra fioriscono sospetti e congetture. E, dopo l’uccisione della terza prostituta, Elisabeth Stride, l’ispettore di polizia John Mac Carthy è disperato. Tutti i sospettati vengono arrestati e presto rilasciati: tutti sembrano avere un alibi. Il serial killer appare ai più una figura diabolica, per niente umana. Taglia la gola alle donne, le seziona con perizia chirurgica, asporta frammenti dai corpi e poi si dissolve nei vicoli scuri e nebbiosi vicino alle sponde del Tamigi.

Nei circoli londinesi non si parla d’altro. Tra le tante congetture, comincia a prendere corpo la curiosa  tesi secondo la quale l’assassino potrebbe avere una personalità scissa: un’insospettabile brava persona di giorno e un efferato assassino di notte. Jack lo Squartatore, insomma, potrebbe essere un personaggio dalla doppia vita, un po’ come Jekyll e Hyde. L’ispettore Mac Carthy, ormai sull’orlo di una crisi di nervi, si reca da Stevenson per elemosinare un parere sulla natura del criminale.

Lo scrittore non ha tanta voglia di collaborare. Gli sembra una cosa poco seria: il suo Jekyll-Hyde è un’invenzione letteraria e teatrale, e quindi, secondo lui, nella vita reale non possono esistere personaggi così estremi. Al contrario, il suo amico Mansfield, non è per niente scettico. È persuaso che un’indagine di Stevenson sia la ricetta migliore per avere un identikit “psicologico” di Jack lo Squartatore.

Spinto dalla passione del suo amico, Stevenson si mette lentamente all’opera. Dal principio, utilizza  gli indizi forniti dalla polizia. Ma non venendo a capo di nulla, lo scrittore cambia improvvisamente marcia e comincia a fare di testa sua: ordina una perizia calligrafica sui messaggi dell’assassino, ricostruisce a modo suo, con scientifica maniacalità la meccanica dei delitti. Studia nei dettagli la vita e le abitudini delle vittime fino a immaginare l’esistenza, le origini, l’infanzia, le possibili malattie e le ossessioni del killer. Purtroppo, però, nonostante l’intenso impegno e, soprattutto, l’originalità dei suoi metodi, più cerca di avvicinarsi alla realtà dei fatti e più i fatti sembrano una bizzarra invenzione letteraria. Più analizza e seziona nei minimi dettagli il caso e più tutto sembra paradossale. Quando ormai anche Stevenson è pronto alla resa, la polizia rinviene la quarta vittima di Jack: è  Catherine Eddows, ancora una prostituta, ancora  a Whitechapel.

Mansfield esorta Stevenson a non mollare. Secondo l’attore, un assassino che continua a lasciare lettere dopo ogni delitto, sotto sotto, nel profondo dell’anima, cova il desiderio di farsi prendere. Bisogna solo scoprire il  punto debole. Ma qual è il punto debole di Jack?

Una notte, dopo aver trascorso ore in compagnia degli amici della Golden Dawn, Stevenson accompagna a casa il suo amico.  Davanti a un bicchiere di Scotch, i due parlano in attesa dell’alba. Mansfield si addormenta sulla poltrona, mentre Stevenson va nello studio dove sa che di poter trovare un’altra bottiglia di liquore. Apre un cassetto e invece del liquore, trova dei fogli scritti con inchiostro rosso. Lo stile, la calligrafia e persino la carta sono gli stessi dei messaggi di Jack lo Squartatore. Stevenson ha quasi un mancamento. Si fa forza. Barcollando, come se sentisse di colpo il peso della sbornia, s’infila il cappotto, si mette in tasca un paio di fogli e poi se ne torna a casa sua.

L’indomani, Stevenson insieme all’ispettore Mac Carthy confronta i fogli trovati nel cassetto di Mansfield con gli originali di Jack lo Squartatore. Non ci sono dubbi: sono stati scritti dalla stessa persona. Stevenson si rifiuta di dire a Mac Carthy dove ha preso quei fogli, attirando su di sé i sospetti dell’ispettore.  Lo scrittore corre a teatro dove sa che troverà l’attore in scena per l’ennesima replica dello strano caso del dottor Jekylln e Mr. Hyde. Ma Mansfield non si è presentato. L’impresario è fuori di sé dalla rabbia. Non sa come placare le ire del pubblico che attende una rappresentazione che non ci sarà. Dov’è finito Richard Mansfield? Stevenson vola a casa sua, e non solo non lo trova, ma scopre che l’intera casa è deserta, come abbandonata da mesi. Non ci sono più i libri e gli effetti personali dell’attore. C’è solo un biglietto sulla scrivania con l’indirizzo di un vicolo di Whitechapel. Stevenson si precipita là, nel quartiere malfamato di Londra, teatro  di tutti gli omicidi. È la notte dell’ 8 novembre 1888. Nel vicolo freddo, solitario e nebbioso c’è una carrozza abbandonata. Stevenson si avvicina alla vettura. Apre lo sportello. Gli appare il volto terreo e penzolante di una donna (Mary Jane Kelly), la gola aperta da orecchio a orecchio. Sul grembo dell’ultima vittima di Jack c’è un biglietto con scritto: “Addio, Robert”. Un rumore di passi scuote Stevenson. Dall’imboccatura del vicolo, un drappello di poliziotti, avvertiti da chissà chi, corre verso di lui. Stevenson, si mette il biglietto in tasca e fugge nella direzione opposta. Nella notte dell’ultimo delitto di Jack, dopo una fuga rocambolesca, Stevenson riuscirà a tornare a casa. Ma le sorprese non sono finite. In bella mostra, Richard Mansfield, alias Jack lo Squartatore, ha lasciato in casa dello scrittore tutte le prove dei suoi delitti: un bisturi insanguinato, gli effetti personali delle prostitute, reperti anatomici vari, i fogli e l’inchiostro usati dal serial killer per scrivere i messaggi. Sicuro dell’imminente arrivo dell’ispettore, Stevenson  in pochi istanti getta in un sacco le prove schiaccianti, esce dalla porta sul retro e con fare sinistro a mo’di Mr. Hyde,  corre a gettare il sacco nel Tamigi. Quando l’ispettore Mac Carthy, alle sei del mattino, andrà a bussare alla sua porta, lo scrittore  darà ancora il meglio di sé nelle vesti di attore recitando il ruolo di un nobile gentiluomo londinese inopinatamente gettato giù dal letto dalla polizia. “Signor Stevenson, dove ha preso quei fogli con la calligrafia di Jack lo Squartatore?”. “A casa di Richard Mansfield !”. “E dov’è adesso il signor Mansfield?”. “Non lo so!”. Ed era vero: Stevenson non sapeva proprio che fine avesse fatto il suo ex amico. Probabilmente, l’attore aveva cambiato identità e si era imbarcato con falso nome su una nave diretta in America. Una cosa era sicura: quell’attore americano, così abile a sdoppiarsi nei ruoli di Jekyll e Hyde, si sdoppiava anche nella vita: di giorno era un caro e sincero amico, di notte si trasformava in un efferato serial killer. Era stato Stevenson col suo romanzo a creare quel mostro, oppure era stato Mansfield a trovare nel romanzo di Stevenson la giustificazione alle sue turbe omicide? Domanda senza risposta. Quel che è sicuro è che Stevenson non rivide più Mansfield e che Jack lo Squartatore non fu mai né identificato, né catturato.

 

Epilogo.

È il 1896. Nel suo studio all’isola di Samoa, Stevenson sta scrivendo il suo ultimo romanzo. Sono passati 8 anni da quel terribile novembre di sangue e la salute di Stevenson, senza l’elisir che gli procurava Browning, è andata gradualmente peggiorando.

Una voce lo chiama da fuori. Stevenson si affaccia alla finestra e vede che giù in cortile c’è un signore distinto dal sorriso aperto. Il giovane parla con accento americano, dice infatti di venire da Baltimora e di chiamarsi Terry Lexter. Ha una faccia familiare. Stevenson ha un sussulto quando si accorge che quel tale somiglia in modo incredibile a Richard Mansfield, ma con venti anni di meno. “Sono un suo ammiratore, signor Stevenson. Ho letto e riletto tutti i suoi libri. Ho saputo della sua salute cagionevole e sono venuto a portarle una medicina speciale che la farà stare proprio bene. Anzi, dopo che l’avrà bevuta, si sentirà un altro”.